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Attaccamento


del venerabile Ajahn Brahmavamso

 

© Ass. Santacittarama, 2006. Tutti i diritti sono riservati.

SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.

Traduzione di Federico Petrangeli.

 

Il termine più frainteso negli ambienti buddisti occidentali è probabilmente quello che viene generalmente tradotto con “attaccamento”. Troppe persone si sono convinte che non dovrebbero avere “attaccamento” nei confronti di niente. E così nascono perfino delle freddure, come quella che dice: “Perché nelle case dei buddisti c’è sporcizia negli angoli? Perché i buddisti non permettono neanche ai loro aspirapolvere di avere alcun accessorio” [E’ un gioco di parole intraducibile in italiano. In inglese “attachment” significa sia “attaccamento” che “accessorio”, come appunto l’accessorio per l’aspirapolvere necessario a pulire negli angoli - N.d.T.] . Alcuni pseudo-buddisti fuorviati criticano coloro che seguono una vita morale, accusandoli di avere attaccamento verso i loro precetti, e quindi elogiano le azioni immorali come segno di profonda saggezza. Bah! Altri, in ambienti buddisti tradizionali, diffondono il timore della meditazione profonda, affermando erroneamente che con essa si ottiene soltanto attaccamento ai jhana. Così si esagera veramente. Ma forse la vetta della disinformazione deleteria è stata raggiunta da Rajneesh, che diceva: “Sono così distaccato, che non ho attaccamento neanche verso l’essere distaccato”, e così poteva tranquillamente giustificare tutti i suoi eccessi.

In lingua pali la parola in questione è UPADANA, che letteralmente significa “prendere”, “afferrare”. E’ comunemente usata per indicare un “carburante”, che sostiene un processo, come l’olio nella lampada è il carburante/upadana per la fiamma . E’ collegata con il desiderio (TANHA). Per esempio, il desiderio è allungare la mano per una deliziosa tazza di caffè, upadana è prenderla. Anche se pensiamo di poter posare di nuovo la tazza di caffè e anche se la nostra mano non è incollata con il mastice alla tazza, questo è sempre upadana. Abbiamo preso la tazza. L’abbiamo afferrata.

Fortunatamente non tutte le forme di upadana sono non-buddiste. Il Buddha ha individuato quattro forme di upadana: “attaccamento” ai cinque sensi, “attaccamento” a visioni distorte; “attaccamento” all’idea che la liberazione può essere raggiunta semplicemente attraverso riti e formule di iniziazione, e “attaccamento” all’idea di un sé. Ci sono molte altre cose che si possono “prendere” o nei cui confronti si può provare “attaccamento”, ma il punto è che solo queste quattro forme conducono alla rinascita, solo queste quattro forme costituiscono carburante per l’esistenza futura e per la continuazione della sofferenza, solo queste quattro forme devono essere evitate. Quindi “prendere” la pratica della compassione, “prendere” la pratica dei Cinque Precetti, dei molti precetti dei monaci e delle monache, o “prendere” la pratica della meditazione, questi comportamenti non sono contrari all’insegnamento buddhista ed è quindi scorretto scoraggiarli, considerandoli “attaccamenti”. In effetti prendere i Cinque Precetti significa, al contrario, lasciar andare i desideri grossolani come la lussuria, l’avidità e la violenza. Praticare la compassione significa lasciar andare l’essere centrati sul proprio sé. Praticare la meditazione è un lasciar andare il passato, il futuro, il pensiero e molto altro ancora. Il raggiungimento dei jhana è nulla di più che il lasciar andare il mondo dei cinque sensi per penetrare nella mente. Il Nibbana è il lasciar andare una volta e per sempre l’avidità, l’odio e l’illusione, cioè i semi della rinascita. Il Parinibbana è il lasciare andare definitivamente il corpo e la mente (i Cinque khandha). E’ sbagliato suggerire che queste tappe del lasciar andare non siano altro che attaccamenti. 

Il cammino è come una scala a pioli. Per salire si deve raggiungere il piolo successivo e lasciar andare quello precedente. E non appena abbiamo raggiunto quel piolo, è già tempo di lasciare andare anche quello e salire su quello successivo, per andare ancora più in alto. Se non si raggiungesse mai un gradino successivo, si rimarrebbe spiritualmente ottusi.

Alle persone prive di saggezza, il lasciar andare può spesso sembrare attaccamento. Per esempio, un uccello sul ramo di un albero di notte può sembrare “attaccato” fermamente al ramo, ma in realtà ha lasciato andare e dorme profondamente. Quando un uccello lascia andare, i muscoli intorno ai suoi artigli iniziano a rilassarsi e si stringono al ramo. Più i muscoli si rilassano, più gli artigli si stringono. E’ per questo che non vedrete mai un uccello cadere da un ramo, anche se dorme. Può sembrare attaccamento, ma in realtà è un lasciar andare. Il lasciar andare spesso conduce alla quiete, al non muoversi da dove si è, ed è per questo che viene talvolta confuso con l’attaccamento. 

Dunque non fatevi fuorviare da buddhisti alle prime armi, magari bene intenzionati ma con scarse conoscenze, che hanno completamente frainteso il significato di upadana e di attaccamento. Abbiate senza paura “attaccamento” verso i vostri precetti, il vostro oggetto di meditazione e il cammino che porta al Nibbana. E non dimenticate neanche di comprare gli accessori per il vostro aspirapolvere!



 

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AJAHN Brahmavamso nasce a Londra nel 1951. Il suo primo contatto col buddhismo avviene sfogliando dei libri in una libreria di Londra quando è ancora studente. Infatti studia fisica alla Cambridge University e in quel periodo diventa membro della locale Buddhist Society e comincia a praticare la meditazione. Dopo essersi laureato col massimo dei voti, insegna fisica alle scuole superiori in Devon. Il contatto con i bhikkhu thailandesi di Londra lo ispira ad andare in Thailandia per intraprendere anche lui la vita monastica cosicché,a 23 anni, riceve l’ordinazione al Wat Sraket con Tan Chao Khun Prom Gunaphorn.

Dal 1975 studia e pratica con Ajahn Chah ed è uno dei primi residenti a Wat Pah Nanachat. Nel 1983 raggiunge il venerabile Jagaro al Bodhinyana, un monastero appena fondato a Perth, nell’Australia occidentale, dove tuttora vive, adesso come abate. Si impegna attivamente nel programma principale di strutturazione ed oggi insegna buddhismo a un uditorio vasto e vario, che va dai bambini ai prigionieri della zona.

Il venerabile Brahmavamso è noto nella comunità dei monaci occidentali per la sua erudizione nel Vinaya, il codice di condotta monastica, e il suo lavoro in questo campo è attualmente fondamentale per l’istruzione nel Vinaya degli occidentali presenti nei monasteri in Inghilterra, Svizzera, Australia e Nuova Zelanda.

 

Source : http://santacittarama.altervista.org/insegnamenti.htm

 

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