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I cinque impedimenti (nivarana)


del venerabile Ajahn Brahmavamso

 

© Ass. Santacittarama, 2006. Tutti i diritti sono riservati.

SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.

Traduzione di Simone Schiaratura.

 

 

I MAGGIORI OSTACOLI PER UNA MEDITAZIONE EFFICACE e una visione profonda liberatoria prendono la forma di uno o più dei cinque impedimenti. L’intera pratica che conduce all’Illuminazione può essere ben espressa come lo sforzo di superare i cinque impedimenti, all’inizio sopprimendoli temporaneamente al fine di sperimentare i jhana e la saggezza intuitiva, e poi superandoli permanentemente tramite il pieno sviluppo del nobile ottuplice sentiero.

 

Quindi, quali sono questi cinque impedimenti? Sono:

KAMACCHANDA: desiderio sensoriale

VYAPADA: malevolenza

THINA-MIDDHA: pigrizia e torpore

UDDHACCA-KUKKUCCA: inquietudine e rimorso

VICIKICCHA: dubbio

 

1. Il desiderio sensoriale si riferisce a quel particolare tipo di bisogno che cerca la felicità attraverso i cinque sensi (vista, udito, odorato, gusto e contatto fisico). Più specificatamente esclude una qualsiasi aspirazione alla felicità attraverso il solo sesto senso: la mente.

Nella sua forma estrema, il desiderio sensoriale è l’ossessione di cercare il piacere in attività come l’intimità sessuale, del buon cibo o della buona musica. Ma include anche il desiderio di rimpiazzare irritanti o persino dolorose esperienze dei cinque sensi con altre piacevoli, cioè il desiderio per il benessere fisico. Il Buddha paragonava il desiderio sensoriale al ricevere un prestito. Qualunque piacere si sperimenti attraverso questi cinque sensi deve essere restituito attraverso la sgradevole sensazione della separazione, della perdita o del vuoto famelico che segue incessantemente una volta che il piacere si è consumato. Come per ogni prestito, c’è anche la questione degli interessi e quindi, come disse il Buddha, il piacere è piccolo se confrontato alla sofferenza restituita.

Nella meditazione, si trascende il desiderio sensoriale per un certo periodo lasciando andare la preoccupazione per questo corpo e l’attività dei suoi cinque sensi. Alcuni immaginano che i cinque sensi siano là per servire e proteggere il corpo ma la verità è che il corpo è là per servire i cinque sensi poiché essi agiscono nel mondo cercando in continuazione piaceri. Il Buddha, una volta infatti disse, "i cinque sensi SONO il mondo" e per lasciare questo mondo e godere dell'altra beatitudine mondana dei jhana, è necessario rinunciare per una volta a TUTTE le preoccupazioni per il corpo e i suoi cinque sensi.

Quando il desiderio sensoriale è superato, la mente di colui che medita non ha interesse nella promessa di piacere e neppure nel benessere di questo corpo. Il corpo sparisce e i cinque sensi si spengono. La mente diventa calma e libera di guardare all’interno. La differenza tra l’attività dei cinque sensi e il suo superamento è simile alla differenza tra guardare fuori da una finestra e guardare in uno specchio. La mente che è libera dall’attività dei cinque sensi può veramente guardare all’interno e vedere la sua vera natura. Solo in questo può emergere la saggezza relativa a ciò che siamo, da dove veniamo e perché?!

 

2. La malevolenza si riferisce al desiderio di punire, nuocere o distruggere. Include il puro odio verso una persona, o persino verso una situazione, e può generare così tanta energia da essere allo stesso tempo attraente e dare assuefazione. Quando si esprime appare sempre giustificata perché il suo potere è tale che facilmente corrompe la nostra capacità di giudicare correttamente. Include anche la malevolenza verso se stessi, meglio nota come senso di colpa, che nega a se stessi ogni possibilità di felicità. Nella meditazione, la malevolenza può apparire come disgusto verso l’oggetto stesso di meditazione, rifiutandolo tanto che la propria attenzione è costretta a vagare altrove. Il Buddha associava la malevolenza all’essere malati. Proprio come l’infermità priva della libertà e della felicità della salute, così la malevolenza nega la libertà e la felicità della pace. La malevolenza è superata applicando Metta, gentilezza amorevole. Quando c’è malevolenza verso una persona, metta insegna a vedere in quella persona più di tutto ciò che ci urta, per capire perché quella persona ci ferisce (spesso perché si ferisce intensamente da sola) e incoraggiare a mettere da parte il proprio dolore per guardare gli altri con compassione. Ma se questo è più di quanto si possa fare, metta verso se stessi conduce a rifiutarsi di dimorare nella malevolenza verso quella persona, così da impedire di nuocerci nuovamente ricordando quei fatti. Allo stesso modo, se c’è della malevolenza verso se stessi, metta vede oltre i nostri sbagli, può capirli e trovare il coraggio di perdonarli, imparando una lezione e lasciandoli andare. Inoltre, se c’è malevolenza verso l’oggetto di meditazione (spesso è il motivo per cui coloro che meditano non riescono a trovare pace) metta abbraccia l’oggetto di meditazione con attenzione e piacere. Proprio come una madre, ad esempio, ha una naturale metta verso il proprio figlio, allo stesso modo coloro che meditano possono guardare al proprio respiro con la stessa qualità di attenzione amorevole. Quindi sarà abbastanza improbabile perdere il respiro a causa della dimenticanza come è improbabile per una madre dimenticarsi il proprio figlio in un centro commerciale, e sarà altrettanto improbabile lasciare cadere il respiro a causa di alcuni pensieri distraenti come è improbabile per una madre distratta lasciar cadere il proprio figlio! Quando la malevolenza è superata, allora sono possibili relazioni durature con altre persone, con se stessi e, nella meditazione, una relazione duratura e piacevole con l’oggetto di meditazione, che può maturare nell’abbraccio pieno del completo assorbimento.

 

3. Pigrizia e torpore si riferiscono alla pesantezza del corpo e all’intorpidimento della mente che trascinano l’individuo verso un’inerzia disabilitante e una profonda depressione. Il Buddha li paragonava all’essere imprigionati in una cella buia e stretta, impossibilitati a muoversi liberamente nello splendore della luce esterna. Nella meditazione questa condizione mentale provoca debolezza e consapevolezza intermittente e può persino portare, senza neppure accorgersene, ad addormentarsi!

La pigrizia e il torpore sono superati da un’energia risvegliante. L’energia è sempre disponibile ma pochi sanno come accendere l'interruttore, ammesso che ce ne sia uno. Stabilire un obiettivo, un obiettivo ragionevole, è un modo saggio ed efficace di generare energia, poiché sviluppa deliberatamente un interesse nel compito assegnato. Un bambino ha un interesse naturale, e di conseguenza energia, perché il suo mondo è del tutto nuovo. Quindi, se possiamo imparare a guardare alla nostra vita, o alla nostra meditazione, con la mente del principiante, possiamo vedere sempre nuove prospettive e possibilità che ci tengono lontani dalla pigrizia e dal torpore, vivi e pieni di energia. Allo stesso modo, possiamo sviluppare piacere in qualunque cosa stiamo facendo; allenando la nostra percezione nel vedere il bello nell’ordinario generiamo un interesse che evita la semi-morte della pigrizia e del torpore. La mente ha due funzioni principali, "fare" e "conoscere". La via della meditazione è calmare il " fare" fino alla completa tranquillità mentre viene mantenuto il " conoscere". Pigrizia e torpore si hanno quando calmiamo senza attenzione il "fare" e il "conoscere", incapaci di distinguere tra di loro. Pigrizia e torpore sono un problema comune che può insinuarsi e soffocarci lentamente. Un abile meditatore mantiene un’attenzione vigile ai primi segni di pigrizia e torpore e quindi è in grado di individuarli mentre si avvicinano e fare mosse difensive prima che sia troppo tardi. Come giungere ad un bivio, possiamo prendere quel sentiero mentale che conduce via dalla pigrizia e dal torpore. Pigrizia e torpore sono uno sgradevole stato mentale e fisico, troppo rigido per saltare nella beatitudine dei jhana e troppo cieco per distinguere delle visioni profonde. In poche parole determinano una completa perdita di tempo.

 

4. L'irrequietudine si riferisce ad una mente che è come una scimmia, che salta in continuazione da un ramo all’altro, non riuscendo mai a soffermarsi a lungo in nessun luogo. E’ causata da uno stato mentale che cerca difetti, il quale non può essere soddisfatto dalle cose così come sono, e quindi deve continuare a muoversi con la speranza di qualcosa di meglio, sempre altrove.

Il Buddha paragonava l’irrequietudine all’essere schiavi, che devono continuamente scattare agli ordini di un padrone tirannico che esige sempre la perfezione e non gli permette di fermarsi. L’irrequietudine è superata sviluppando la contentezza, che è l’opposto del trovare difetti. Impariamo la semplice gioia di essere soddisfatti con poco, piuttosto che volere sempre di più. Siamo grati per questo momento, piuttosto che andare a vedere le sue mancanze. Per esempio, nella meditazione l’irrequietudine è spesso l’impazienza di muoversi velocemente allo stadio successivo. I progressi più veloci sono conseguiti da chi è contento dello stadio in cui al momento si trova, ed è nell'approfondire questa contentezza che matura lo stadio successivo. Quindi siate attenti al " voler andare avanti", ed invece imparate come fermarvi in una apprezzante contentezza. In questo modo, il "fare" sparisce e la meditazione fiorisce.

I rimorsi si riferiscono a quello specifico tipo di irrequietudine che è l’effetto kammico dei propri misfatti. Il solo modo di superare il rimorso, l’agitazione di una cattiva coscienza, è purificare la propria virtù e diventare gentili, saggi e amorevoli. E’ virtualmente impossibile per gli immorali o gli auto-indulgenti fare profondi progressi nella meditazione.

 

5. Il dubbio si riferisce alle domande interne che disturbano nel momento in cui dovremmo silenziosamente muoverci più in profondità. Il dubbio può mettere in discussione la propria abilità "Posso fare questo?" o mettere in discussione il metodo "E’ questo il modo giusto?" o mettere in discussione persino il significato "Che cos’è?". Dovremmo ricordarci che tali domande sono ostacoli alla meditazione perché vengono poste al momento sbagliato e quindi diventano un’intrusione, oscurando la nostra chiarezza. Il Buddha collegava il dubbio all’essere perso in un deserto, senza avere dei punti di riferimento. Un tale dubbio è superato raccogliendo indicazioni corrette, avendo una buona mappa, così da riconoscere i segni impercettibili nel territorio non familiare della meditazione profonda e sapere quindi quale direzione prendere. Il dubbio nelle proprie capacità è superato col nutrire autostima mediante l'aiuto di un buon maestro. Un insegnante di meditazione è come un allenatore che convince la squadra che può farcela. Il Buddha affermava che possiamo raggiungere i jhana e l’illuminazione se seguiamo attentamente e pazientemente le istruzioni. L’unica incertezza è "quando" ! Anche l’esperienza vince il dubbio sulle proprie capacità e anche il dubbio se questa sia o no la strada giusta. Quando abbiamo da noi stessi capito i bellissimi passaggi del sentiero, scopriamo che di fatto siamo capaci delle cose più sublimi, e che questo è il sentiero che conduce in quella direzione.

Il dubbio che prende la forma di una costante valutazione "E’ questo un jhana?" "Come sto andando?" è superato comprendendo che tali domande è meglio lasciarle alla fine, ad un paio di minuti dal termine della meditazione. Un giuria si pronuncia solo alla fine del processo, quando tutte le prove sono state presentate. Allo stesso modo, un meditatore esperto persegue una raccolta silenziosa di prove, valutandola solo alla fine, per svelarne il significato.

La fine del dubbio, in meditazione, viene descritta da una mente che ha piena fiducia nel silenzio, e quindi non interferisce con nessun altro discorso esterno. Come avere un buon autista, durante il viaggio sediamo in silenzio affidandoci a lui.

Per quanto vari possano essere i problemi che emergono nella meditazione, saranno riconducibili ad uno di questi cinque impedimenti, o ad una loro combinazione. Così, se sperimentiamo qualche difficoltà, usiamo lo schema dei cinque impedimenti come una "lista di controllo" per identificare il problema principale. Poi conosceremo il rimedio appropriato, lo applicheremo attentamente e andremo oltre l’ostacolo verso una più profonda meditazione.

Quando i cinque impedimenti sono pienamente superati, non c’è barriera tra il meditatore e la beatitudine dei jhana. Quindi, il test sicuro che indica che questi cinque impedimenti sono superati è l’abilità di accedere ai jhana.

 

Source : http://santacittarama.altervista.org/insegnamenti.htm

 

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